liberazione dai beni mobili di immobile aggiudicato all'asta

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  • Ultimo messaggio 22 luglio 2019
VALE pubblicato 26 giugno 2019

Salve, 

a febbraio mi sono aggiudicato all'asta un immobile (capannomne commerciale) a giugno è stato emesso il decreto di trasferimento ma ancora non è stato liberato dai beni mobili presenti.

La custodia del bene apparteneva al fallimento della vecchia società proprietaria, il curatore  su autorizzazione del G.D.ha provveduto ad incaricare una società per lo sgombero.Quest'ultima asporterà però solamente i beni vendibili e non anche quelli invendibili perchè, mi hariferito il curatore, che questi ultimi sono stati esclusi dall'attivo fallimentare e non sono di proprietà del fallimento ma del legale rappresentante della società fallita che dovrà venirli a prendere dietro intimazione che il curatore gli farà pervenire.

Mi chiedo, ma se il vecchio debitore non verrà a prenderli (e sicuramente non lo farà trattandosi di beni obsoleti) chi li porterà via? Non è che dovrò farlo io?Non è giusto che sia io a smaltirli sostenendone i relativi costi visto che ho un decreto di trasferimento che dice che il bene immobile doveva essermi consegnato libero da persone e cose.

Inoltre essendo intervenuta l'attività di sgombero dopo il decerto di trasferimento, chi mi risarcisce dei danni alla mia attività relativi al tempo perso nei giorni necessari ad effttuare lo sgombero? 

Cosa mi consigliate di fare per tutelarmi?E soprattutto per non dover io sgomberare l'immobile da i beni invendibili nel caso in cui il vecchio proprietario non li venga a riprendere?

grazie

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inexecutivis pubblicato 02 luglio 2019

Una compiuta risposta all’interrogativo posto implica lo svolgimento di alcune premesse di fondo.

In seno alle procedure esecutive (individuali e concorsuali), il trasferimento della proprietà costituisce una fattispecie a formazione complessa che parte dall’aggiudicazione, passa per il versamento del prezzo e si completa con la pronuncia (su cui torneremo alla fine) del decreto di trasferimento.

La determinazione del momento di produzione dell’effetto traslativo non è pacifica, essendosi registrate in dottrina autorevoli opinioni che l’hanno fatta decorrere dall’aggiudicazione o dal versamento del saldo prezzo.

In giurisprudenza, comunque, prevale nettamente l’idea che il trasferimento della proprietà si determina con il decreto di trasferimento, sebbene si tratti di effetto che, come detto, postula l’intervenuto versamento del saldo prezzo, in mancanza del quale esso non si produce (Cass., 2-4-1997, n. 2867; 28-8-1997, n. 7749; 20-10-1997, n. 9630; 16-9-2008, n. 23709).

Da quel momento il curatore ha l’obbligo di consegnare il bene al nuovo proprietario in base alle regole che disciplinano la compravendita.

Così si esprime anche la giurisprudenza, secondo la quale Nella vendita forzata, pur non essendo ravvisabile un incontro di consensi, tra l'offerente ed il giudice, produttivo dell'effetto transattivo, essendo l'atto di autonomia privata incompatibile con l'esercizio della funzione giurisdizionale, l'offerta di acquisto del partecipante alla gara costituisce il presupposto negoziale dell'atto giurisdizionale di vendita; con la conseguente applicabilità delle norme del contratto di vendita non incompatibili con la natura dell'espropriazione forzata, quale l'art. 1477 cod.civ. concernente l'obbligo di consegna della cosa da parte del venditore (Cassazione civile, sez. I 17 febbraio 1995, n. 1730; Cass. 30/06/2014, n. 14765).

Del resto, come detto, lo stesso vale anche nelle vendite ordinarie, laddove si è detto che Nella vendita ad effetti reali, un volta concluso il contratto, l'acquirente consegue immediatamente, e senza necessità di materiale consegna, non solo la proprietà ma anche il possesso giuridico ("sine corpore") della "res vendita", con l'obbligo del venditore di trasferirgli il possesso materiale ("corpus"), che si realizza con la consegna e che, quanto al tempo della sua attuazione, ben può essere regolato dall'accordo dell'autonomia delle parti”. (Cass. n. 569 del 11/01/2008).

Quanto ai mobili presente, gli stessi devono essere asportati a cura e spese della procedura, senza che a nostro avviso si possa distinguere tra beni acquisiti all’attivo del fallimento e beni non acquisiti (e quindi tornati nella disponibilità del fallito).

Depone in questa direzione il quarto comma dell’art. 560 c.p.c., il quale afferma che “Quando nell’immobile si trovano beni mobili che non debbono essere consegnati, ovvero documenti inerenti lo svolgimento di attività imprenditoriale o professionale, il custode intima alla parte tenuta al rilascio ovvero al soggetto al quale gli stessi risultano appartenere di asportarli, assegnandogli il relativo termine, non inferiore a trenta giorni, salvi i casi d’urgenza. Dell’intimazione si dà atto a verbale ovvero, se il soggetto intimato non è presente, mediante atto notificato dal custode. Qualora l’asporto non sia eseguito entro il termine assegnato, i beni o documenti sono considerati abbandonati e il custode, salvo diversa disposizione del giudice dell’esecuzione, ne dispone lo smaltimento o la distruzione”.

Ciò detto, occorre a questo punto osservare che il disciplinare della vendita potrebbe aver dettato (legittimamente) regole diverse, ed in questo caso le stesse prevarrebbero sui principi che abbiamo sin qui illustrato.

È necessario allora esaminare i documenti relativi al procedimento di vendita e verificare cosa sia stato eventualmente previsto a proposto dei beni mobili presenti all’interno del capannone.

Se nulla è stato detto sul punto, restano ferme le osservazioni che abbiamo svolto e dunque l’acquirente ha diritto alla consegna di un bene libero (completamente) da persone e cose. In caso contrario prevarranno le diverse previsioni dei documenti della vendita, che costituiscono lex specialis.

VALE pubblicato 02 luglio 2019

Grazie mille per la preziosa e esaustiva risposta!

Comunque tengo a precisare che nel disciplinare di vendita non vi era scritto nulla in merito ai beni mobili presenti. Solo nel decreto di trasferimento si parla di rilasciare l' immobile libero da persone e cose.

Il curatore non ci vuol sentire e continua ribadire per iscritto che il GD ha autorizzato a portare via solo i beni vendibili in base all'art.104-ter L.F. della legge fallimentare e quindi  non può far di più! procederà con l'intimazione al debitore fallito di asportarli entro cinque giorni e se quest'ultimo non lo farà sarò costretto a farlo io!

Ma secondo voi se facessi una istanza al Giudice che ha disposto la vendita per fargli presente la situazione può lui poi obbligare il fallimento a portare via tutti i beni?

Oppure faccio prima a smaltirli io e poi faccio causa al falliemnto per ottenere i danni!??

inexecutivis pubblicato 06 luglio 2019

A nostro avviso il rimedio esperibile è quello del reclamo previsto dall’art 36 l.fall.

La norma infatti prevede che contro gli atti di amministrazione del curatore, così come contro le autorizzazioni o i dinieghi del comitato dei creditori e i relativi comportamenti omissivi, il fallito e ogni altro interessato possono proporre reclamo al giudice delegato per violazione di legge, entro otto giorni dalla conoscenza dell’atto o, in caso di omissione, dalla scadenza del termine indicato nella diffida a provvedere.

È opinione condivisa, a proposito di questa norma, che possono essere reclamati sia gli atti di ordinaria che quelli di straordinaria amministrazione.

Problematica potrebbe essere la questione del termine, relativamente breve (8 giorni) previsto dalla norma per esercitare il rimedio.

VALE pubblicato 06 luglio 2019

Grazie nuovamente per la preziosa risposta, ma premesso che l atto che ha estromesso i beni invendibili non l ho mai visto, infatti, non mi è stato mai notificato, ma solo menzionato via mail dal curatore, da quando mi decorrono gli otto giorni per proporlo? E poi fare questo reclamo vorrebbe dire per me attendere altro tempo prima di entrare nell' immobile (se ci sono quei beni all interno io non riesco ad entrare e fare i lavori necessari alla mia attività) e non posso permettermelo perché subirei danni notevoli perdendo clienti!Ma se smaltisco io i beni (cosi da velocizzare il tutto visto che il debitore fallito nel frattempo come non si è presentato a ritirarli) così non perdo altro tempo, poi posso agire nei confronti del fallimento e del fallito per farmi risarcire?Sarebbe errato perche non ho fatto prima il reclamo?

inexecutivis pubblicato 09 luglio 2019

Precisiamo meglio il concetto che intendevamo esplicitare.

Il reclamo non va proposto avverso il provvedimento del giudice che ha disposto la nona acquisizione al passivo del fallimento quei beni, ma contro il rifiuto del curatore di liberare da quei beni l'immobile.

Quanto alla possibilità di provvedere autonomamente allo smaltimento, salvo chiedere il rimborso dei costi sostenuti alla curatela, osserviamo quanto segue.

È ricorrente in giurisprudenza l’affermazione secondo cui “In tema di determinazione del danno risarcibile, non assurge a fatto colposo del creditore, idoneo a ridurre o a escludere il risarcimento del danno, la circostanza che il danneggiato abbia agito tardivamente nei confronti dell'autore della violazione, quand'anche un'ipotetica tempestiva azione fosse astrattamente suscettibile di circoscrivere l'entità del pregiudizio. Invero, l'art. 1227, comma 2, c.c., che costituisce un'applicazione dell'art. 1175 c.c., pur imponendo al creditore di tenere una condotta attiva, diretta a limitare le conseguenze dannose dell'altrui comportamento, non arriva a pretendere il compimento di attività gravose o implicanti rischi, tra le quali ben può ricomprendersi l'avvio di un'azione giudiziale” (Cass. Sez. I, 08/02/2019, n. 3797; negli stessi termini sez. III, 05/10/2018, n. 24522).

Tuttavia è dubbio che questi principi possano applicarsi al caso di specie con riferimento all’onere di proporre reclamo ex art. 36 poiché qui non si tratterebbe di introdurre un’autonoma azione giudiziale, certamente più gravosa.

 

Si potrebbe allora, per sostenere comunque una pretesa risarcitoria nei confronti della curatela, sostenere che i tempi necessari alla definizione del procedimento di reclamo avrebbero determinato un pregiudizio (di cui si dovrà però fornire la prova, almeno per presunzioni) superiore a quello determinato dall’aver provveduto allo smaltimento in proprio.

 

VALE pubblicato 09 luglio 2019

Grazie mille davvero per le vostre tempestive risposte e complimenti per la professionalità. Ora mi sorge un altro dubbio. La curatrice ha intimato con telegramma al fallito di venire presso di me a prendere i beni esclusi dall attivo fallimentare entro e non oltre 5 giorni e ad oggi costui non si è fatto sentire!Domani scadono i 5 giorni e io per dopodomani ho già incaricato una ditta per procedere con lo smaltimento degli stessi così da non perdere tempo!Mi chiedevo ma il fallito non può presentarsi tra qualche giorno e richiedete indietro i suoi beni, giusto?Poteva farlo solo nel termine di 5 giorni concesso dalla curatrice, giusto?

inexecutivis pubblicato 14 luglio 2019

Diciamo che in teoria i beni smaltiti sono ancora del fallito.

è chiaro tuttavia che il suo comportamento omissivo rispetto alla intimazione ricevuta dal curatore è interpretabile come volontà di non reclamarli come propri. Del resto nello stesso art. 560, comma quarto, cpc, si considerano abbandonati i beni mobili che l'avente diritto non provvede a recuperare.

Ergo, non crediamo affatto che il fallito tornerà a reclamare quei beni, verosimilmente privi di qualunque valore economico.

In ogni caso il fallito potrebbe reclamare nei confronti della curatela i beni propri, poichè è la curatela che ne aveva la custodia e doveva restituirli. Il nuovo proprietario nel momento in cui ha ricevuto la consegna del bene con all'interno quei cespiti e legittimato a ritenere che l'avente diritto non ha interesse a reclamarli.

VALE pubblicato 18 luglio 2019

Grazie ancora per le preziose risposte.

Ci tengo ad aggiornarvi..

A 10 giorni di distanza si è presentato il fallito  per vedere i beni che doveva ritirare indicati nell'elenco che il curatore gli ha notificato.

Vedendo che la maggior parte di quelli rimasti (perchè una parte li avevo già smaltiti ) erano pura ferraglia da buttare e non avendo soldi per farli smaltire lui, mi ha proposto un accordo scritto in cui lui si impegnava a ritirare a proprie spese i beni ritenuti in buono stato, delegava e autorizzava me a smaltire in discarica, a mie spese, gli altri (ferrglia) esonerandomi da qualsiasi responsabilità civile e penale in merito anche nei confronti dei terzi.

Ho deciso di firmare questo accordo così  nel giro di qualche giorno ho avuto l'immobile completamente libero e ho iniziato le mie opere urgenti ( ho addirittura una ordinanza comunale che mi ingiunge entro breve termine di rimuovere l'amianto dal tetto dell'mmobile e se ci fossetro stati i beni dentro non avrei potuto assolutamente provvedere) necessarie alla mia  attivita'.

Secondo voi ho fatto bene a firmare?

Ora vorrei agire contro il fallimento chiedendo il risarcimento dei danni.

Asserendo di essermi fatto carico io dello smaltimento perchè il debitore non ha ritirato parte dei beni e viste le ragiorni di urgenza della mia attività che non mi permettevano di intraprendere l'azione di giudiziaria di reclamo e sostenere anche che la liberazione dai beni che il fallimento ha portato via è stata fatta in tempi non congrui visto che il decreto di trasferimento è di giugno e il fallimento ha terminato di portare via le cose la scorsa settimana.

Secondo voi potrei ottenere qualcosa così da recuperare almeno qualche spesa oppure è il caso di lasciar perdere percheè rischierei di perdere e di pagarea anche l'avvocato del fallimento?

Attendo il vs prezioso consiglio.

Grazie ancora.

 

inexecutivis pubblicato 22 luglio 2019

Essendosi fatto carico (e dunque accettando) di sostenere i costi di smaltimento, non sarà possibile avanzare alcuna pretesa nei confronti del fallimento.

Suggeriamo di lasciar perdere.

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